Rodolfo d'Asburgo (1858-1889), all'età di 23 anni
foto:
Atelier Adele
La tragedia di Mayerling:
Il piccolo villaggio austriaco di Mayerling, di appena 200 abitanti, situato
nella regione Niederösterreich (Bassa Austria) sarebbe sicuramente rimasto
sconosciuto ai più se non fosse per i cosiddetti "fatti di Mayerling",
cioè il doppio suicidio dell'Arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena (all'epoca
aveva 30 anni) e della sua amante, la diciassettenne baronessa Maria Vetsera.
I loro corpi furono trovati morti nella camera da letto del castello di
Mayerling il 30 gennaio del 1889. I due volevano morire insieme e prima di
spararsi Rodolfo uccise con una revolverata la sua giovane amante.
Rodolfo, unico figlio maschio dell'imperatore Francesco Giuseppe e di
Elisabetta d'Austria, era sposato da sei anni con la principessa Stefania di
Belgio con la quale aveva avuto anche una figlia ed era destinato a diventare il prossimo imperatore d'Austria.
Inizialmente la corte di Vienna cercò disperatamente di nascondere le
tragiche ed imbarazzanti circostanze della morte del figlio dell'imperatore
e diffuse subito la versione che un attacco di cuore avesse stroncato
Rodolfo: la povera baronessa Vetsera non venne neppure menzionata e il suo
corpo seppellito segretamente. Ma la verità venne presto alla luce e da
allora quella tragedia divenne quasi un mito, provocando non solo una serie
di fantasiose teorie sui motivi del suicidio, ma anche un fiume di libri,
film e addirittura di musical che girano intorno alla triste fine di Rodolfo
(l'ultimo é il film per la TV del 2007 con Klaus Maria Brandauer) tenendo
così vivo l'interesse del pubblico e nutrendo per lo più l'immagine collettiva del
"suicidio per amore".
Ma i motivi del doppio suicidio e le cause che portarono ai "fatti di Mayerling" sono ben più complicati e profondi e
hanno origine sia nei problemi familiari di Elisabetta e Francesco
Giuseppe, sia nella situazione politica dell'impero asburgico.
Il giovane Rodolfo:
Il terzo figlio di Elisabetta e Francesco Giuseppe era "finalmente" il maschio
tanto aspettato e desiderato dalla corte di Vienna come futuro erede
dell'impero asburgico. Rodolfo si rivelò presto un bambino precoce con una
straordinaria intelligenza e sensibilità. Già a cinque anni riusciva a farsi
capire in cinque lingue, era dotato di un temperamento vivace e di una
fantasia esuberante. Ma dall'altra parte era fisicamente debole e spesso
malato, era timido e molto bisognoso di affetto. Senza dubbio aveva
ereditato molto dalla madre, sia in positivo che in negativo.
Ma Rodolfo era destinato a diventare imperatore e così
Francesco Giuseppe stesso ordinò ai suoi educatori "di frenare
cautamente lo sviluppo psichico e di promuovere con tutti i mezzi quello
fisico". Un imperatore doveva essere forte e coraggioso e soprattutto un
buon soldato. Rodolfo fu sottoposto a vere e proprie torture psico-fisiche
per "irrobustirlo": per fargli superare la sua timidezza e per "indurire" il
suo carattere abbandonarono p.e. il piccolo Rodolfo, a 6 anni, in un grande
parco dicendogli che c'erano in giro dei cinghiali pericolosi. Il piccolo
Rodolfo urlava per la paura e voleva uscire a tutti i costi, ma le porte del
parco erano state chiuse a chiave. Di notte, il suo "educatore", il conte
Gondrecour, svegliava Rodolfo ogni tanto con degli spari di pistola. Per
l'epoca questi metodi erano normali nelle scuole militari, ma per Rodolfo il
risultato di queste sistematiche brutalità fu che divenne sempre più debole,
nervoso e malato e a un certo punto si temette addirittura per la sua vita.
All'epoca Elisabetta non si sentiva ancora sufficientemente forte per
influenzare in modo decisivo l'educazione dei suoi figli. Ma quando le
riferirono che Rodolfo era in punto di morte Elisabetta, che finora aveva
celato la sua opposizione alla corte sotto il manto di innumerevoli malattie
e fughe interminabili da Vienna, per la prima volta si ribellò in modo
esplicito, forte e chiaro.
Scrisse una lettera al marito in cui, con un tono insolitamente acido,
pretese "assoluti e pieni poteri sulla educazione dei figli fino alla loro
maggiore età, il pieno potere per decidere chi e con quali metodi li doveva
educare." E già che c'era, pretese anche per se stessa il diritto di
"decidere, senza dover rendere conto a nessuno cosa faccio, dove vado e la
massima autonomia su tutte le faccende che riguardano me". Firmato
"Elisabeth, Ischl, 27. August 1865".
Questo documento, uno shock per il
marito e per tutta la corte, fu per Elisabetta, dopo 11 anni di matrimonio,
una specie di dichiarazione di indipendenza. Fu un ultimatum, un vero e
proprio ricatto, perché aggiunse: "O se ne va Gondrecour (l'educatore di
Rodolfo) o me ne vado io". Nessuno dubitava che lo dicesse sul serio. E
così Elisabetta ottenne quel che voleva: Gondrecour fu licenziato e
Elisabetta predispose tutto affinché il povero Rodolfo, che dopo questo
cambiamento si riprese
velocemente, potesse ricevere un'educazione più adeguata. Per tutta la
sua vita Rodolfo che, fin da piccolo, era molto affezionato alla madre non
avrebbe mai dimenticato che Elisabetta gli aveva praticamente salvato la vita.
Rodolfo - il ribelle:
a sinistra: Rodolfo, a 19 anni, a destra: il pamphlet, scritto anonimamente da Rodolfo a 19 anni,
in cui criticava aspramente l'aristocrazia austriaca
Dai nuovi insegnanti che Elisabetta aveva scelto con cura Rodolfo
ricevette un'educazione esplicitamente liberale e antiaristocratica che lo
allontanò, già nell'adolescenza, sempre di più dalla politica della corte di
Vienna. Paradossalmente, una volta sistemata la "questione Rodolfo",
Elisabetta perse ogni interesse per il suo unico figlio maschio che, in
realtà, era molto più simile a lei, di carattere e di opinioni politiche,
rispetto alla figlia Valeria, che Elisabetta amava smisuratamente. Così
Rodolfo, guardato con sospetto dalla corte e praticamente abbandonato dalla
madre, che lui invece continuava ad amare molto, si sentì sempre più
isolato, in particolare da quando, dopo aver raggiunto i 18 anni, suo padre
e con lui la parte conservatrice della corte, riprese nuovamente in mano la
sua educazione.
Durante i suoi viaggi di studio in Europa, in particolare durante un viaggio
in Gran Bretagna che gli piaque moltissimo, Rodolfo si convinse di dover
entrare attivamente nella discussione politica. Ma, essendo principe
ereditario, non poteva farlo apertamente, inoltre aveva paura di attirarsi
le ire del padre, che temeva, ma allo stesso tempo amava e rispettava. Il suo
primo scritto contro la politica antiquata dell'aristocrazia (vedi sopra),
redatto da lui all'età di 19 anni e pubblicato anonimamente a Monaco di
Baviera, fece un'enorme scalpore a Vienna e l'ignoto autore fu violentemente
attaccato e condannato dalla stampa della corte. Negli anni successivi
Rodolfo s'immischiò sempre più frequentemente negli affari della monarchia,
delle volte apertamente, ma più che altro scrivendo come giornalista, sotto
vari pseudonimi che vennero scoperti solo dopo la sua morte. Voleva fare
politica, ma non poteva. Per poter realizzare le sue idee prese addirittura
in considerazione il progetto di farsi incoronare re dell'Ungheria che un
gruppo di influenti aristocratici ungheresi prese anche sul serio e sviluppò fino a sfiorare il complotto.
Il 10 maggio 1881 Rodolfo sposò la principessa Stefania del Belgio, un
matrimonio che all'inizio sembrava funzionare bene, ma dopo poco andò in
crisi per le idee politiche troppo diverse dei due.
Il suo isolamento in famiglia, la rigida severità e l'immobilismo del pur
amato padre, il disinteresse della madre Elisabetta che continuava a non
occuparsi di lui e che in fondo non sapeva nulla di quello che pensava il
figlio, l'impossibilità di fare politica attivamente, la paura del suo
stesso ruolo di futuro imperatore, in cui sarebbe stato circondato da
persone che lo odiavano e che lui odiava - tutto questo accentuò anche la sua labilità psichica, di cui aveva sofferto già da
bambino. Cominciò a bere e a prendere morfina. Forse, ma non esistono prove
o indizi chiari, il padre venne a sapere del suo piano segreto di diventare
re dell'Ungheria il che, se è vero, sicuramente fece precipitare la
situazione già drammatica. Tutto fu ulteriormente aggravato dalla gonorrea
che Rodolfo si era presa per via delle sue numerose compagnie femminili di
passaggio e che lo fece diventare sempre più melanconico. Alla fine,
disperatamente intrecciato nei suoi problemi privati e politici non vide
altro scampo che la morte. Il suicidio insieme alla sua amante, deciso
probabilmente in un momento di panico fu quindi il risultato di un accumulo
di problemi privati e pubblici e la giovane baronessa Vetsera -
psichicamente labile anche lei e perdutamente innamorata di Rodolfo - che
trascinò nella morte, fu solo una più o meno casuale compagna di morte.
a sinistra: l'ultima foto di Rodolfo, a 30 anni,
a destra: la baronessa Maria Vetsera (a 16 anni),
un anno prima del loro suicidio.
entrambe le foto: Atelier Adele
La responsabilità di Elisabetta:
La cosa più tragica della morte di Rodolfo fu il fatto che, se Elisabetta si
fosse occupata anche solo un po' di suo figlio, si sarebbe facilmente
accorta che Rodolfo in quasi tutte le cose della vita pubblica pensava
esattamente come lei e che possedeva la stessa sensibilità di lei. Leggendo
gli articoli di Rodolfo e quello che scrisse Elisabetta si vedono delle idee
e dei sentimenti talmente vicini che è difficile non ipotizzare una forte
responsabilità di Elisabetta nella tragedia di suo figlio - che non sta in
quello che ha fatto, ma in quello che non ha fatto.